Mentre leggo le ultime dichiarazioni del Primo Ministro del Regno Unito Theresa May, a proposito delle parole un po’ troppo accondiscendenti (mi si perdoni l’eufemismo) del Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump sulle violenze dei cosiddetti “suprematisti bianchi” a Charlottesville, passano davanti ai miei occhi, ancora immersi nel riposo della vacanza estiva, le immagini della carneficina di Barcellona in cui un furgone ha ucciso numerose persone travolgendole come birilli.
Ai miei occhi, tutto questo odio (odio sul web, per strada, nella fila alle poste, nelle dichiarazioni dei leader politici) appare come un’immane onda di guano che spesso contribuisce a far percepire me stesso, e le persone che amo, come asserragliate in uno scampolo di amore rimasto. Come una riserva di gentilezza e dialogo alla quale, giorno dopo giorno, venga tolto spazio. L’unico spazio che ci è rimasto e che deriva dalle leggi, dai codici, civile e penale, dalle venerabili istituzioni, dal tessuto sociale e dall’istinto al bello e al buono di cui forse ancora siamo dotati.
Dice bene la mia “non-preferita” leader dei Partito conservatore britannico (“It is important for all those in positions of responsibility to condemn far-right views wherever we hear them”): dovremmo imparare a gestire le parole, a conservare la fiamma dell’intolleranza gettando continuamente balsamo e acqua su di essa, invocando l’umanità e la gentilezza e utilizzandola al posto delle allusioni, delle parolacce, delle sgarbatezze e delle provocazioni.
Dovremmo imparare a distinguere fra fascismo/nazismo e una maniera di destra e di sinistra di intendere l’economia o i rapporti di forza/diplomatici internazionali (degni entrambi di rispetto).
Dovremmo imparare a distinguere fra discriminare qualcuno per il colore della sua pelle, per il suo sesso e la sua sessualità, per la propria religione o etnia dal condurre uno stato secondo idee politiche differenti.
La prima cosa si chiama nazismo e la seconda politica.
Dovremmo imparare a distinguere fra idee politiche e religiose e “non affitto la casa ai negri” o “non affitto la casa ai gay”. Dovremmo imparare a distinguere la libertà di pensiero da “non ti puoi sposare perché sei gay” e da “non prendi l’autobus se sei negro/ebreo o musulmano”: una cosa sono le idee politiche e religiose, una cosa è il nazismo/fascismo.
Dovremmo imparare a distinguere fra “non ho simpatia per Laura Boldrini per questo e quel motivo” e l’augurarle la morte. La prima cosa è il libero pensiero, la seconda cosa è fascismo/violenza/sessismo (oltre che reato perseguibile).
Dovremmo imparare a distinguere fra sicurezza e antiterrorismo da omicidio e odio razziale.
Dovremmo imparare a distinguere fra ideali e violenza, fra insulto e dialogo, fra lotta (di classe, di idee, economica, religiosa o quant’altro) e omicidio. Dovremmo imparare a rimanere umani, analfabeti di ritorno in una lingua che troppo spesso sputa parole e poco le sceglie.
Dice bene Theresa May: tutti dovremmo stare attenti alle parole che diciamo, ai gesti che ogni giorno mettiamo in atto. Attenti a non offendere, a non perseguitare, a non violare i principi del vivere civile che fino ad ora ci ha permesso di definirci esseri umani.Dovrebbero stare maggiormente attenti a questo fatto anche e soprattutto i leader politici e religiosi (di ogni parte, chiesa e fazione) il cui interesse è rappresentare tutti, tutelare tutti e difendere l’ordine sociale.
Chi non fa questo, chi continua a manipolare fatti, opinioni e malcontenti; chi continua a interpretare la realtà per fomentare, appiccare fuochi e violenza; chi continua ad approfittare della polemica, delle difficoltà dei molti per arrivare al proprio vantaggio (consistente, spesso, in manciate di like sui social o qualche voto in più) fa un banale gioco al massacro che è vecchio come la storia europea. Si chiama nazismo: che arrivi da un post su un social, da un agguato all’angolo della strada, sulla rambla di Barcellona o da un discorso in periodo elettorale.