Cosa vorrei per il nuovo anno? Cose impossibili, quindi mi accontenterei di un pochino di coerenza diffusa (come l’albergo) e una spruzzata di meritocrazia (tanto per non perdere l’abitudine). Mi basterebbe che chi si lamenta sempre per ogni cosa ne avesse una buona (di motivazione) per farlo, così da lasciarci le palle in pace. Che chi non ama le feste non continuasse a dirlo in continuazione (tanto non cambia nulla, quelle restano), che le religioni e i loro capi (o presunti tali) la smettessero di pontificare una cosa e farne un’altra, che gli esaltati la smettessero di buttarsi contro i mercatini di Natale, le torri e i centri commerciali (tanto qualsiasi cosa, anche un centro commerciale, è meglio di quel dio o quell’ideale violento che sostengono esista), che il governo italiano si prendesse la briga di esistere (trattando seriamente i Diritti Umani e Civili), che le sentinelle in piedi andassero a lavorare e che qualcuno decidesse di chiudere almeno la metà del programmi televisivi di cucina perché non se ne può più.
Mi basterebbe, in fondo, che si uscisse finalmente dalla perenne riesumazione della Democrazia Cristiana, della “Milano da bere” e del cattocomunismo (tanto non ci sono più “fabbrichette”, come diceva Zampetti ne I ragazzi della III C, gli arricchiti sono tutti russi – li riconoscete dallo sguardo soddisfatto mentre non sanno decidere fra un Tavernello e un Nepente – e Cuba è libre).
Mi piacerebbe che ognuno trovasse leggerezza in questa pesantezza diffusa, che non dicesse agli altri come vivere e che potesse sfiorare almeno una volta un prodotto fatto a mano per capire la gioia del “saper fare” fermandosi al “qui e ora”.
Mi piacerebbe che non fosse mai morta Virna Lisi, perché le persone e le cose belle dovrebbero essere eterne (come il foulard Hermès o Il Cantico dei Cantici), che Mina ritornasse a cantare su un palco, che Sandro Mayer non mettesse più il parrucchino (perché è simpatico e intelligente anche senza) e che Trastevere fosse dietro casa per poterci passeggiare ogni giorno.
Mi accontenterei di sapere che le esperienze umane possano avere lo stesso peso di quelle professionali in un colloquio di lavoro, di sapere che da domani l’organizzazione diventerà concreta realtà sui luoghi di lavoro (uscendo dal territorio mitico del “si dice esista”) e che quel terzo di popolazione annoiata, mistica, dedita e subdola la smetterà di rovinare la vita al resto del mondo che invece vorrebbe semplicemente viverla in pace.
Detto questo tanti auguri. Ognuno come può si diverta perché la vita è un banchetto e solo gli stolti stanno a bocca asciutta (“Life is a banquet, and most poor suckers are starving to death!“).