La Pazza Gioia è un film di Paolo Virzì del 2016 che, con il mio solito ritardo, sono riuscito solo da poco a vedere. Ed è raro trovare una sceneggiatura coerente e quel tanto distaccata da permettere di apprezzarla nel modo giusto. Esiste un momento in cui un personaggio (Donatella – Micaela Ramazzotti) dice all’altra: “Ma dove si trova la felicità?” e l’altra (Beatrice – Valeria Bruni Tedeschi) ribatte: “Nei posti belli, nelle tovaglie di fiandra, nei vini buoni, nelle persone gentili”.
Nel musical The sound of music la protagonista Julie Andrews elenca alcune cose che la rendono felice: “Girls in white dresses with blue satin sashes / Snowflakes that stay on my nose and eyelashes / Silver white winters that melt into springs” (anche Al Bano e Romina ne avevano data una loro definizione), mentre i più saggi ci ricordano spesso che qualsiasi cosa nella nostra umana esistenza, anche i fatti più insignificanti, hanno qualcosa di meraviglioso.
Spesso l’essere umano si interroga sulla felicità, definirla è una grande sfida: questione di linguaggi, di metodo e di filosofia. Senza dubbio essa si oppone alla tristezza, e indica, secondo l’Enciclopedia Treccani, uno “stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato”. il Primo Ministro Jacinda Ardern l’ha inserita persino nella finanziaria della sua nazione, la Nuova Zelanda, con il termine “well-being budget“, ovvero una serie di interventi nel campo del lavoro, della salute mentale, della salvaguardia dell’ambiente e dell’assistenza ai poveri, alle minoranze e ai bambini. A Castelvecchio di Rocca Barbena si è svolta la terza edizione della “Festa della Felicità”, mentre il libriccino “Felicità in questo mondo” spiega cosa significa esserlo, e poterlo diventare, in un percorso umanistico e spirituale buddista.
Cosa è dunque, al giorno d’oggi, la felicità?
È un “qualcosa” che si raggiunge per diminuzione o per addizione? è uno stato d’animo che prescinde da quello fisico? riuscireste voi a essere felici mentre state morendo di fame o state facendo la fila sotto il sole cocente per un tozzo di pane? È forse, la felicità, quando riusciamo a porre l’accento sulla qualità e non sulla quantità dei momenti, delle cose e delle persone che ci troviamo a vivere?
Il monaco buddista Nichiren Daishonin ne parla come di una condizione in cui si riesce a essere “a proprio agio” e in completa aderenza a sé, a prescindere dal fatto che tale condizione sia gioiosa o meno (“Quando c’è da soffrire, soffri; quando c’è da gioire, gioisci. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia”). Pertanto, rifacendoci al Buddha Śākyamuni, potremmo dire che la felicità non è una meta ma il modo in cui percorriamo la nostra strada.
Se per Confucio la condizione di un uomo felice è quella di colui che medita sui “buoni” pensieri, in tempi più moderni l’americano Thoreau la paragonava a una farfalla che più viene inseguita e meno viene raggiunta. Il solo fatto di cercarla in qualcosa, infatti, ci rende dipendenti dalla ricerca stessa, mentre le farfalle, è noto, possono poggiarsi sulla nostra spalla quando meno ce lo aspettiamo.
La felicità è sicuramente legata al profondo senso di utilità della propria esistenza, è relativa quando è legata alla soddisfazione di alcuni desideri o bisogni, ed è assoluta quando essa non dipende da altro che dalla nostra angolazione, dalla nostra percezione di noi nel mondo (esattamente così come siamo).
Nel libro Le voyage d’Hector ou la recherche du bonheur, Francois Lelord racconta il suo viaggio alla ricerca della felicità e ne trae un taccuino con 25 spunti, tutti assolutamente divertenti, sorprendenti e profondi: se è vero che la felicità ti sorprende (proprio come la farfalla di Thoreau), è anche vero che è più facile provarla se svolgi un lavoro che ti piace, se vivi in un paese democratico governato da persone oneste, se ti prendi cura della felicità degli altri e e ti fermi ogni tanto a guardare la bellezza del mondo.
In musica il tema è sovrano: l’Inno alla gioia di Friedrich Schiller è diventato il simbolo dell’Europa Unita che, per quanto da cambiare, ci tiene al riparo da speculazioni di altri giganti la cui felicità, lo sappiamo bene, non coincide con quella del Vecchio Continente. Andando più in basso, i Negrita si chiedono che rumore faccia la felicità (“Camminiamo ancora insieme Sopra il male sopra il bene”), ammesso che ne abbia uno, mentre Michele Bravi canta La vita e la felicità (“E l’estate che non passerà / Si troverà una soluzione / La vita e la felicità / Nessuna via Nessuna convinzione”), I Thegiornalistideclamano “Ma quanto è puttana/ Questa felicità/ Che dura un minuto/ Ma che botta ci dà”.
Per Lucio Dalla (e Mauro Malavasi) la felicità viaggia su un treno e passa (“Ah felicità / su quale treno della notte viaggerai / lo so… / che passerai… / ma come sempre in fretta / non ti fermi mai”), dobbiamo sempre essere pronti: non è mai semplice, è un “Sistema complesso”, come ha detto il regista Gianni Zanasi, ma da qualche parte bisogna pur iniziare.
Fonte: www.mockupmagazine.it