Un giorno Donna Franca Florio, durante la sua passeggiata fra le verdi ombre di una villa palermitana, notò una bambina seduta in un angolo. Capelli neri e lunghi, pelle arrossata dal sole, e un’aria offesa. Non osò avvicinarla pensando che tutto sommato avesse il sacrosanto diritto di prendersi una pausa da una lite con i compagni di giochi o, cosa anche più importante per un pargolo, nascondersi dalle ire dei genitori per una marachella.
«Chi sarà questa bambina? – si chiese – forse la figlia del fornaio, passato a consegnare il pane? Forse una nipote di Nunzia, venuta a trovare la zia da Catania?», e si ripromise di informarsi su di essa.
Proseguì pertanto la sua passeggiata, seguita dalla dama di compagnia e nascosta agli sguardi dei giardinieri da un ampio capello di piume bianche e lucenti. Il sole primaverile si univa alla fresca aria del mare e quell’insieme di salsedine e tepore infiacchiva le gambe, donando alle cose un torpore tutto mediterraneo. L’odore dei limoni e dell’ alloro profumava il giardino e lei ne stringeva in mano alcuni rametti, sventolando e accarezzando il viso con le foglie odorose. Il parasole in una mano, i piccoli tralci di alloro nell’altra, proseguiva avvolta nel suo abito. Il crepitio dei tacchetti sulla ghiaia.
Il giorno dopo, passando accanto alla piccola fontana con il delfino, sotto i palmizi, notò ancora una volta la bambina: imbronciata, sguardo perso nel vuoto, gambe ciondolanti e irrequiete. La guardò questa volta con aria interrogativa, ma non osò interromperne il flusso dei pensieri. Accennò solamente a un saluto con la mano, ma la bambina girò la faccia e sbuffò visibilmente irritata. Accanto a lei un lungo bastone e, poco più in là, un bastoncino a doppia punta per giocare a la Lippa.
Donna Franca aprì questa volta il parasole di pizzo e uncinetto e dato un morso a una mela lucente si trascinò dietro Semiramide, la bassotta fulva molto saggia che sapeva attenderla anche per molto tempo durante le sue passeggiate nel parco.
Guardò la cagnolina e quest’ultima rispose agitando la coda:«devo ricordarmi di chiedere chi possa essere questa bambina. È sempre triste, mette da parte i giochi e non sorride mai. Ma cosa sarà mai accaduto?». Quella sera si dimenticò tuttavia di informarsi perché un lungo ricevimento la impegnò fino a tarda notte. Indossava un lungo abito di organza, nero come la notte, con il suo lungo filo di perle al collo e il ventaglio di marabù.
Si svegliò sul tardi, mettendo fuori dalle lenzuola di lino prima una mano e poi l’altra, e scostando il copriletto con uno sbadiglio elegante. Si vestì di mussola color zabaione e chiamata Semiramide, la bassotta con il collare nero bordato in ottone, si avviò a controllare in giardino lo stato dei lavori per la sistemazione delle violette africane. Si sarebbe fatta servire la spremuta di arance rosse nel patio, accanto alle felci.
Quando la vide, si ricordò immediatamente di lei: la bambina imbronciata! Questa volta era seduta come un fachiro indiano, gambe incrociate, gomito sul ginocchio e mento sul palmo della mano.
«Buongiorno, chère Mademoiselle. Nemmeno oggi giochi a la Lippa?» e indicò il bastone in un angolo.
La bambina mise via il broncio e la fissò con aria interrogativa:
«A manciugghia!» ripetè Donna Franca indicando nuovamente il bastone e il piccolo mozzicone che serviva a giocare.
In quel momento la bambina si illuminò:«A firredda? Ah si, è che mica ci so giocare così tanto bene eh?»
– «Non ci credo!»
– «I miei compagni sono tutti d’accordo: non so giocare. E dunque me ne vado. Che ci faccio in mezzo alla polvere se poi non riesco nemmeno a lanciarlo in aria quel coso?».
– «Ti sei mai esercitata?».
– «Se non lo so fare, che mi esercito?» rispose la bambina agitando la mano.
Nel frattempo Semiramide, adocchiato il bastoncino più corto, trotterellò accanto alla bambina e, dopo averlo annusato, lo addentò correndo per tutto il giardino in cerca di un posto in cui nasconderlo.
– «lo vedi quel cane?».
– «certo che lo vedo, e mi ha fregato il bastoncino. Ma tanto a che mi serve!».
– «si chiama Semiramide, è una bassotta molto abile».
– «io mi chiamo Teresa, anche se la mamma mi chiama Teresina. Comunque la bassotta è carina», questa volta aveva abbandonato il broncio.
– «sai che nemmeno il mio cane, prima di qualche mese fa, avrebbe saputo addentare un bastoncino e andare a nasconderlo? E tu pretendi di saper fare una cosa senza averla mai provata e riprovata almeno cento volte».
– «cento volte?!» disse Teresina sgranando gli occhi. Era infatti in quel periodo della vita in cui dopo il dieci, era tutto moltitudine.
– «cento e anche altri cento! Pochi mesi fa me lo diceva anche Semiramide: “bau non riuscirò mai a scavare per nascondere il mio osso”, “bau bau che non ce la faccio”, “bau bau bau è così difficile scavare la terra…”».
– «e poi?» interruppe la bambina.
– «e poi ora scava fossi profondissimi, caccia i conigli e le talpe nel parco e mi segue ovunque!».
– «com’è possibile?».
– «ricorda – disse Donna Franca abbracciando la bambina e attirandola sotto il parasole – che ciò che non sai lo saprai. Provare devi!».
In quel momento la cuoca, poggiato sul tavolino accanto alle felci un vassoio con la spremuta e i cucchitteddi ripieni di zuccata, si rivolse alla bambina:«Teresina, torna in casa che tua madre passa a riprenderti all’ora di pranzo. La scusi Signora!».
Donna Franca agitò la mano ringraziando la vecchia Nunzia e lasciò libera Teresina perché potesse obbedire alla zia. Si alzò mormorando fra sé: “l’avevo detto che era la nipote di Nunzia”
Chiamò la cagnolina:«On y va, Sémiramis».
La bassotta fulva e la Signora si avvicinarono al tavolino, nascosto fra le felci, facendo crocchiare il selciato.
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