Se vi venisse in mente di approdare, anche solo per caso, alla visione delle illuminanti cartoline “celebrative” del#fertilityday, non disperate se vi dovessero sembrare orribilmente sessiste. Non è una vostra impressione, lo sono davvero (se poi siete bigotti e indossate il cilicio vi sembreranno quantomeno deliziose).
Se ne sono resi conto anche all’estero, la blogger Caitlin Hu scrive infatti “Italy begs women to have more babies for the sake of the nation, totally embarrasses the nation” (Qui), mentre Giulia Biasi, su Medium, scrive: “What this campaign hides is the complete inability of the government to tackle the declining birth rate and subsequent decrease of cash flow towards the country’s already severely depleted public welfare. If women choose not to have children — for personal or financial reasons, or both — who is going to pay the insane amount of taxes required to keep the system working? Not the children of immigrants, who are not awarded automatic citizenship even if born and raised on Italian soil. It falls to Italian women to repopulate Italy, fulfilling their biological destiny and doing their patriotic duty.” (Qui).
Quanto fino ad ora visto del #fertilityday, il cui sito attualmente presenta solo una landing page, si avvale di immagini comprate sui siti di stoccaggio a pagamento che sono state sovrapposte a slogan che evocano il Codice Napoleonico. Una campagna, dunque, che anche per gli addetti ai lavori risulta sui generis, con una debole attività di branding e che ci fa domandare quanti soldi pubblici siano stati spesi per questa “ rivoluzione culturale” (così come viene definita pomposamente al punto 5 della pagina 137 del documento ufficiale – Qui). Da quando il Ministero della Saluteha divulgato la campagna per “Informare i cittadini sul ruolo della Fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio” (qui il documento), la polemica sui mezzi di comunicazione si è riversata a valanga sui promotori dell’iniziativa.
Una donna con una clessidra in una mano e con l’altra mano sulla pancia (scaricata direttamente da Schutterstock – clicca qui), un rubinetto con la didascalia “ la fertilità è un bene comune”, sono solo alcune delle imbarazzanti immagini a supporto della campagna che, tuttavia, almeno a parole si prefiggeva di non “generare ansia per l’orologio biologico che corre” ma di informare le donne sul corretto stile di vita per favorire la nascita di un figlio.
La ministra Lorenzin (madre per la prima volta a 44 anni, come ci rivela Wikipedia), che a quanto pare non riesce a superare il divario fra le intenzioni e i fatti, non è nuova a questo genere di infelice sdoppiamento della personalità mediatica: il suo “no” allastepchild adoption da parte delle coppie omosessuali, che avrebbe tutelato la continuità affettiva per il bambino rimasto orfano (evitandogli un istituto per orfani), seguiva alle dichiarazioni di tutela dell’infanzia; mentre l’iniziativa del #fertilityday, inserita nel “Piano nazionale per la fertilità”, che fa leva sull’ansia della maternità come destino biologico, parte dal presupposto che la diminuzione delle nascite non derivi dalla mancanza di tutele per la famiglia (eterosessuale o omosessuale che sia), dal precariato selvaggio, dalla disoccupazione e dalla mancanza di un vero welfare, ma dalla semplice scelta del singolo. Se poi la campagna studiata suggerisce che la maternità debba essere un appuntamento obbligato per la donna e debba dipendere solo dalla necessità di dare alla nazione un numero in più da inserire negli elenchi dell’ufficio anagrafe, è ben difficile credere che un’opinione pubblica sana possa accettare di buon grado un messaggio simile. Critico con la campagna pubblicitaria anche Matteo Renzi che dai microfoni di Rtl 102.5 ha detto: “Non conosco nessuno dei miei amici che fa un figlio perchè vede un cartellone pubblicitario” e parlando della questione demografica ha dichiarato: “esiste, ma vanno create le condizioni perchè ciascuno possa scegliere come e quando fare figli”
La campagna, nei suoi effetti pratici, ricorda quella mussoliniana di “ Difesa della razza, garanzia di potenza”, e si presta senza dubbio, in un mondo aperto, evoluto e maturo, all’ironia selvaggia. Il diritto all’autodeterminazione del proprio destino, e della propria felicità, ricorda le parole di Simone de Beauvoir, secondo la quale giustamente non è mai questione di decidere quando e come un individuo debba essere felice, ma di dotare il medesimo della libertà per poter decidere atonomamente la propria condizione di felicità (“quelles circonstances limitent la liberté de la femme et peut elle les dépasser ? Ce sont là les questions fondamentales que nous voudrions élucider. C’est dire que nous intéressant aux chances de l’individu nous ne définirons pas ces chances en terme de bonheur, mais en termes de liberté” – Il secondo sesso).
Cosa propone dunque la ministra Lorenzin? Una felicità di coppia preconfenzionata, un burkini biologico? Cosa ci propone esattamente di fare il 22 settembre per “festeggiare” la sagra dell’ovocita?
Anche il capo del Governo, che nel suo schieramento politico annovera anche modelli femminili fortemente positivi come quello di Monica Cirinnà, riesce a stento a tollerare il discredito che una campagna negativa come il #fertilityday è riuscita a gettare in poche ore, indebolendo l’effetto mediatico positivo delle Unioni Civili e del “Dopo di noi”.