Il giovane autore di “Pioggia inversa. Storia del Diavolo e un precario” (edizioni Il Sextante) incontrerà il pubblico giovedì 3 marzo, alle ore 18:00, presso la Sala Verdi di via Traiano 22 a Monserrato (qui l’evento).
Abbiamo incontrato Matteo Tuveri, classe 1977, durante una pausa caffè intensa.
Autore di numerosi volumi e articoli nell’ambito degli studi di genere, della storia e letteratura italiana, tedesca, inglese e asburgica, l’autore ci ha parlato dei personaggi del suo libro e di progetti per il futuro.
Come mai la scelta di accostare una figura esoterica così forte come quella del diavolo a una più concreta come quella del precario?
Il diavolo, già oggetto e soggetto di numerose opere in letteratura, incarna tutti coloro ai quali è stata fatta una promessa di luce, promessa poi non mantenuta.
Sono i precari del lavoro a cui è stata promessa la stabilizzazione e un lavoro per poter progettare una vita. Ma sono anche i precari dei sentimenti, se ne parla tanto sui giornali. Ricordo che l’Italia è all’ultimo posto per quanto riguarda i diritti civili.
Il diavolo e il precario sono insieme perchè in realtà gli anni di precariato sono anni di apprendistato per il diavolo con il quale prima o poi la politica dovrà misurarsi.
Ha scelto un argomento importante, come si pone nei confronti della letteratura che prima di lei ha trattato tale argomento?
In letteratura, come dicevo, il diavolo è sempre stato centrale. Personalmente mi sento come l’ultimo arrivato, e dopo Goethe, Marlowe e Mann non potrebbe essere altrimenti. Il resto lo lascio all’interpretazione di chi legge.
Nella sua storia ha scelto di intrecciare differenti tempi e differenti luoghi: il presente, il passato e il passato remoto si incontrano con una Sardegna indefinita, storicamente sfilacciata, e un Lazio, diviso fra Roma e l’Antichissima Città di Sutri, che restituiscono un panorama gotico. A cosa si deve questa scelta?
Sono luoghi prima di tutto a me noti, nei quali per tradizione familiare e personale riesco a muovermi bene. La Sardegna è un luogo dell’anima, quindi non ha georeferenziazioni precise, è uno stato d’animo, una profonda identità. In seconda battuta, credo che i tempi scelti possano restituire alla narrazione una profondità maggiore rispetto a un solo tempo.
Dopo l’evento del 3 marzo presso l’Associazione Verdi, dove la vedremo?
Di sicuro mi aspetta Roma, credo l’editore abbia in mente un incontro-mostra in cui esporre i quadri del pittore Antony Fachin che, eseguiti appositamente per la mia storia, illustrano le pagine del mio libro.