Oggi ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, stabilita dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite. La data fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981.
Il 25 novembre ricorre la morte, avvenuta nel 1960, delle sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal). Le tre donne furono uccise per mano dei sicari del regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930-1961), il dittatore che tenne sotto scacco le libertà civili nella Repubblica Dominicana per più di trent’anni. Una delle tre sorelle, Minerva, proprio come la saggia e coraggiosa professoressa di Hogwarts, disse ai suoi amici: “Si me matan, sacaré los brazos de la tumba y seré más fuerte“.
Ricordo che da poco la Russia ha avviato il ritiro della firma dal trattato di adesione alla Corte penale internazionale, che in Turchia si stava cercando di far passare una legge sulla depenalizzazione della violenza sui minori (per giustificare i matrimoni “riparatori”), che esistono movimenti estremisti cattolici – appoggiati dalle alte sfere delle religioni monoteiste – che pensano che l’uso cosciente del corpo della donna sia un peccato “da perdonare” – che mirano all’abolizione della Legge 194sul diritto alla procreazione cosciente e responsabile.
Ricordo che ci sono paesi al mondo in cui la testimonianza di una donna in tribunale vale la metà. Ricordo che ci sono paesi che eleggono, o hanno eletto, persone che hanno fatto del sessismo una loro tecnica di comunicazione e che hanno inserito nella loro macchina governativa personaggi legati agli ambienti estremisti, razzisti e omofobi.
Ricordo che la violenza (dati EURES: negli ultimi dieci anni le donne uccise in Italia sono state 1740 di cui 1251 in famiglia, 846 all’interno della coppia e 224 da un ex marito/compagno) passa non solo attraverso le gravi aggressionidi cui ci parla la cronaca, ma anche attraverso parole, frasi e “piccoli” gesti che tendono a denigrare, annullare e umiliare le persone (e in questo caso le donne). Offese, parolacce, minacce, diminutivi: le parole feriscono e sono violenza.
Non lasciamo passare nemmeno una di quelle frasi discriminatorie, nemmeno uno di quei gesti violenti, nemmeno uno di quegli atteggiamenti sessisti (non dal vivo, non su internet). Non esiste “era una battuta”, non esiste “so’ ragazzi”.
Esiste solo il rispetto, esiste una lotta continua, una guerra di trincea civile contro la barbarie della violenza. Questo perchè lo stato di subalternità o violenza non è un destino assegnato da qualcuno, ma una dimensione in cui altri ci relegano facendosi forti di un gioco al massacro. Per dirla con Dorothy Parker, “”I rasoi fanno male; i fiumi sono freddi; l’acido macchia; i farmaci danno i crampi. Le pistole sono illegali; i cappi cedono; il gas fa schifo. Tanto vale vivere”. Tanto vale lottare, dico io.
Non lasciamo passare l’idea che il mondo sia un posto in cui ci si deve rassegnare alla violenza di chi gioca in attacco: facciamolo con il voto, con i gesti quotidiani, con le nostre amicizie, le nostre inimicizie, con le nostre scelte di consumatori e con le nostre scelte di vita.
In un mondo globale non basta più rovesciare i cattivi governi, è necessario ribaltare i ruoli: non solo i cattivi giocano in attacco.